Il manifesto - 21/1/2005
Un testimone del marxismo italiano La scomparsa di Nicola Badaloni
di Guido Liguori
Se n'è andato Marco. È così che familiari, amici,
compagni e allievi chiamavano Nicola Badaloni, è così che egli amava
farsi chiamare, come al tempo della Resistenza. Non un vezzo, ma il
segno quasi di quella "scelta di vita" che non avrebbe rinnegato
mai. Aveva compiuto da poco ottant'anni e da qualche tempo la sua
voce era meno presente nel dibattito culturale e politico. Ma per
molti decenni Badaloni è stato uno dei più prestigiosi intellettuali
italiani e uno dei più prestigiosi intellettuali del Partito
comunista italiano. Aveva sempre abbinato impegno culturale e
impegno politico, quasi due facce di una stessa medaglia molto
difficili da separare. Era stato a lungo (1954-1966) sindaco di
Livorno, la città dove era nato il 21 dicembre del 1924, membro del
Comitato centrale del Partito comunista (vicino alla sinistra,
contrario nel 1969 all'espulsione del gruppo del manifesto), attento
ai fermenti del `68-'69, presidente della Fondazione Istituto
Gramsci (1971-1993) negli anni Settanta e Ottanta. Fermamente
contrario alla "svolta della Bolognina" dell'89, Nicola Badaloni
aveva partecipato alla battaglia politica della "seconda mozione" e
aveva poi fatto parte del gruppo di intellettuali e politici che
avevano dato vita dal 1993 alla "nuova serie" militante della
rivista Critica marxista, a cui aveva già nei decenni passati
attivamente collaborato quando era la rivista teorica del Partito
comunista italiano, dopo aver partecipato all'esperienza di Società.
Nicola Badaloni aveva insegnato a lungo Storia della filosofia
all'Università di Pisa, città nella quale in giovinezza aveva
studiato (alla Normale, dove era divenuto amico di Carlo Azeglio
Ciampi) alla scuola di maestri quali Guido Calogero, Luigi Russo e,
soprattutto, Cesare Luporini, con cui avrebbe continuato ad avere
nel tempo uno stretto rapporto di amicizia e solidarietà politica e
intellettuale. Si era distinto a partire dagli anni cinquanta per
gli studi sulla filosofia di Giordano Bruno (a partire dal suo primo
libro, La filosofia di Giordano Bruno, uscito nel 1955 per Parenti
editore); Giordano Bruno tra cosmologia ed etica, De Donatao, 1988),
di Tommaso Campanella (Tommaso Campanella, 1965), di Giovanbattista
Vico (Introduzione a Vico, 1982), di Antonio Conti (Antonio Conti.
Un abate libero pensatore tra Newton e Voltaire, 1968). A questa
rivisitazione di figure della filosofica italiana che erano state
positivamente alternative rispetto al proprio tempo si era
accompagnato lo studio di Marx, di Gramsci, del marxismo
contemporaneo. Nel 1962 era uscito (per Feltrinelli) Marxismo come
storicismo, libro di confronto con le principali correnti culturali
del tempo, che avrebbe dato il là al celebre "dibattito fra filosofi
marxisti italiani" sulle colonne di Rinascita. Se successivamente il
filosofo livornese avrebbe ritenuto che l'uso del termine
"storicismo" era stato probabilmente sbagliato e troppo foriero di
equivoci, mai avrebbe abbandonato il nocciolo di una posizione
filosofica che puntava su una nuova visione dell'individuo, e sugli
individui associati in grado di controllare le condizioni materiali
e sociali della loto esistenza. In questa valorizzazione stava
il nocciolo della sua lettura di Karl Marx (oltre ai tantissimi
saggi e articoli, si ricordano i volumi Per il comunismo. Questioni
di teoria, 1972, e Dialettica del capitale, 1980) e soprattutto di
Antonio Gramsci. Del 1970 era la densa relazione introduttiva su Il
marxismo italiano degli anni sessanta, in occasione dell'omonimo
convegno dell'Istituto Gramsci, impegnata rilettura teorico-politica
degli anni sessanta, tra marxismo "ufficiale" e nuovi fermenti
(operaismo teorico, francofortismo, ecc.) sfociati nella cultura del
Sessantotto. Di Gramsci Nicola Badaloni è stato uno dei
principali interpreti, soprattutto a partire dagli anni sessanta,
attraverso una serie di relazioni a convegni e saggi che avevano
scavato teoricamente sia nel "giovane Gramsci" che nel pensiero
consegnato ai Quaderni del carcere. Due i suoi libri sul marxista
sardo: Il marxismo di Gramsci (1975) e Il problema dell'immanenza
nella filosofia politica di Antonio Gramsci (1988). Soprattutto
importante il primo, che proponeva una lettura originale del
pensiero gramsciano, nella cui genesi pesavano soprattutto - per
Badaloni - l'influenza di Sorel e di Labriola, prima e oltre
all'incontro con Lenin. Da Sorel il giovane Gramsci avrebbe derivato
una sorta di "primato del sociale" che sarebbe stato modificato, ma
non sarebbe andato perso, nel successivo incontro con il leniniano
"primato della politica". Gramsci avrebbe anzi tentato una
ricomposizione teorica e pratica di queste due facce del pensiero di
Marx, incentrata sulla figura del "produttore", soggetto di una
nuova cultura politica e di un nuovo sapere tecnico-produttivo.
Badaloni è una figura che ha espresso al meglio la presenza dei
comunisti italiani nella cultura e nella vita civile e politica del
nostro paese. Ha rappresentato un modo d'essere, uno stile politico
e culturale che oggi è forse persino difficile capire: avere tutti i
numeri e i riconoscimenti di un grande intellettuale, che però sa
dare tutto se stesso all'interno di una impresa collettiva che si
vuole finalizzata alla crescita politica e culturale non di pochi
"migliori", ma di tutti. Anche per questo esempio che ci ha lasciato
e che non muore con lui continueremo a pensare a Marco con affetto e
con gratitudine. I funerali civili di Nicola Badaloni si
terranno oggi, alle ore 15,30. Il corteo funebre partirà dal Palazzo
Comunale, dove, dal mattino, per decisione del sindaco Alessandro
Cosimi, sarà allestita la camera ardente. © Il manifesto
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