L’ARTE DI ARIBERTO BADALONI
G. C. Argan, 1970
Non
bisogna mai dare per scontato che l’originalità di un autore “nasca dal
niente, anche se sappiamo che ogni idea, ogni storia, ha un precedente”. Così
Rabih Alameddine, creatore dell’opera letteraria “Hakawati. Il cantore di
storie” ma anche pittore, scrive riguardo all’autorialità spiegando che
nessuno inventa niente e che l’originalità di un autore, sia esso scrittore
che artista di arti visive (ma possiamo allargare il termine fino a comprendere
tutte le arti di ingegno e di impegno), stia nello sguardo nuovo – nella nuova
visione con cui affronta un oggetto e/o soggetto – e una nuova penna o
pennello o scalpello... Se, come scriveva Benjamin Franklin,
“…l’originalità è l’arte di nascondere le fonti”, Ariberto Badaloni,
artista dal multiforme ingegno, può essere considerato a buon diritto
originale.
L’autore
muove i primi passi, in senso proprio, in una famiglia di intellettuali. È
circondato da personalità di spicco del mondo culturale toscano e italiano. Fin
da bambino mostra una predilezione particolare per il disegno. I suoi studi
proseguono in questo senso, prima confortati dagli insegnamenti impartiti
all’Istituto d’Arte, successivamente all’Accademia.
Ariberto
è un docente, ha, dunque la capacità di trasmettere ciò che sa agli altri, ai
giovani, e il carisma per infondere loro interesse e motivazione. È, inoltre,
profondo conoscitore – anche in senso teorico – delle arti, molte delle
quali ha sperimentato; le ha studiate, le studia, le pratica con amorevole
impegno e con brillanti risultati. La sua dote principale, a mio avviso, resta
comunque la comunicazione. Le sue immagini, infatti, sono chiare, sono forti,
nascondono precedenti incontri visivi, emotivi e intellettuali con l’arte: non
solo quella occidentale ma anche quella orientale, specialmente sul versante
della spiritualità. Una spiritualità, appunto, laica, senza difese, che si
offre al riguardante non per indicare una via precostituita, ma per segnare, o
segnalare,È un’emozione.
A
Badaloni interessa l’uomo nel suo viaggio terreno e celeste, alle prese con
l’infinita e fuggevole precarietà dell’esistente.
On. Riccardo Nencini